giovedì 4 maggio 2017

IL LABORATORIO DELLO SCRITTORE – Il disfattista, il successo e la vocazione


Oggi ho letto un post di un tale che non conosco e non nomino, il quale si divertiva a fare sentire tutti coloro che amano scrivere come poveri falliti senza speranza. Non hai venduto 10.000 copie? I tuoi editori non ti pagano in anticipo per le prossime opere? Non pubblichi coi big? FALLITO! SFIGATO! TI DOVREBBERO TOGLIERE IL PC, LA CARTA, LA PENNA E PURE LA PATENTE (non si sa mai)!

Devo ammettere che la prosa del tizio, afferente al genere dell’invettiva (stavo scrivendo “infettiva”, lapsus freudiano), aveva un suo fascino decadente. Del tipo: vedo tutto nero, uso il turpiloquio, getto sterco sull’umanità e questo mi fa godere. Perché io non sono banale. Non ho buoni sentimenti. Io sono duro e puro. Ho un alunno così. Peccato che abbia 13 anni!

  Intendiamoci, a me non interessa insultare questo sconosciuto demolitore seriale di zebedei altrui. Per carità! E neppure negare che tanta gente farebbe meglio a non scrivere affatto. O che alcuni farebbero meglio a non fregiarsi di titoli che non hanno. Come osserva una vignetta che circola sul web, non siamo tutti Jedi solo perché abbiamo un accappatoio....

Però dissento sull'idea che scrittore sia solo chi ha successo. In tutte le epoche, infatti, abbiamo avuto i best seller spazzatura che poi sono spariti come la cacca del marinaio. Che dire dei romanzi barocchi? O di quelli ottocenteschi per cameriere? O dei libri tratti dai serial televisivi degli anni 80, delle biografie della zoccola del momento, dalle elucubrazioni di qualche calciatore sul viale del tramonto? Forse sono più spocchiosa del nostro blogger sconosciuto, ma se vendere 10.000 copie di emerite boiate scritte coi piedi vuol dire essere veri scrittori, allora preferisco essere definita in altro modo.

Insomma, sono troppi i fattori che avvicinano o allontanano dal successo e, mi dispiace, caro disfattista, non sono tutti collegati al talento!

Vi citerò un passo del mio libro (mi dispiace, ma ne ho scritto uno anch’io) per illustrare il mio punto di vista:

<< Che cos’è la letteratura, amici? Un modo obsoleto per passare il tempo risalente a epoche in cui non c’era nulla di meglio? Il frutto di menti malate per il piacere di altre menti malate? Una nobile attività che eleva lo spirito? Un’industria spietata? Un mezzo di comunicazione o piuttosto un mezzo per confondere le acque con idee inutili? Vita vissuta che diventa pagina scritta o pagina scritta che si atteggia a vita? Tanto fumo e poco arrosto o molto arrosto senza fumo?
E chi sono gli scrittori? Una categoria di psicopatici? Marpioni dalla parolina facile? Fantocci per i mass-media? Personaggi oscuri e misteriosi? Cuochi di banalità o chef che sanno trasformare una patata in una leccornia?
Dopo avere approfondito l’argomento, non sono giunto a una conclusione definitiva. Nel mondo della letteratura c’è di tutto.
Una cosa, però, l’ho capita: diventare scrittori di fama non ha a che fare né col talento né col messaggio che si trasmette, ma con un’alchimia di fattori. Alcuni hanno cercato di trovare la formula magica di questo fenomeno per riprodurlo a piacimento, ma nessuno ci è riuscito. La pietra filosofale del successo letterario resta misteriosa.
Innanzi tutto, come in tutte le cose, c’è il “momento”. Certa gente che compare sui libri di scuola, se fosse vissuta in un’altra epoca sarebbe rimasta sconosciuta.
Poi c’è la fortuna. Avete presente quella pila di manoscritti sulla scrivania dell’editore? E quella serata con la segretaria su quella stessa scrivania? E la pila che cade, così l’ultimo manoscritto di apre? E l’editore che sente la voce della moglie si nasconde insieme alla segretaria sotto la scrivania per sistemarsi e fingere di riordinare quel disastro? Ed ecco la moglie inferocita, l’editore prende quel manoscritto in mano e declama le prime righe, aggiungendo: “Vede, signorina, come scorre? Che penna! Che penna! Questo giovanotto ci farà vendere milioni di copie!”
Altri fattori? L’orientamento politico, naturalmente! Geni letterari sono stati scartati per le loro idee e scribacchini immondi, invece, hanno cavalcato la tigre per anni.
Le amicizie altolocate. Dicono che nella vita non si va da nessuna parte senza un amico al posto giusto.
E poi, è evidente, gli scandali!
Non c’è niente di meglio di uno scandalo per lanciare un libro.>>
(tratto da “Cicerone. Memorie di un gatto geneticamente potenziato”)

Che ne dite? Certo, certo, se scrivi “io ho stato” e fai addormentare anche uno strafatto di Red Bull, forse ti devi chiedere se sia il caso di continuare, ma vi do una triste notizia: esistono davvero dei bravi scrittori che non hanno avuto fortuna. No, non sono creature mitiche come lo snaso (io adoro lo snaso!) o il liocorno.

Ma veniamo alla motivazione. Perché si scrive?

Secondo il disfattista la gente scrive per potere dire tutta tronfia: “Il mio libro”; o anche: “Sono uno scrittore.” Poi, per darsi un tono, paragona la scrittura all’onanismo. E qui mi girano per una serie di motivi.  Innanzi tutto la scelta del termine è inappropriata: non vi ammorberò con questioni bibliche, ma posto di usare onanismo nel senso di trastulli solitari, che c'entra la letteratura? Quello è un trastullo pubblico! Semmai è una cosa di gruppo! Cioè, parte in privato, ma poi necessita di essere condivisa, se no è il diario segreto di quando avevamo 12 anni. Secondo, caro mio, da che pulpito! Perché tieni un blog, amico, se non per il tuo narcisistico bisogno di pavoneggiarti sul web? Per l’insopprimibile voglia di essere letto e commentato?

Io almeno lo so perché scrivo e ha a che fare con quello che Hillman chiama daimon, vocazione, destino. In parole povere, io senza scrivere non ci so stare. E’ una necessità quasi fisiologica. Ovviamente, se domani fossi insignita del nobel per la letteratura sarei felicissima (a parte i soldini che la cosa comporta). Non dirò che scrivo solo per me stessa e chissenefrega del pubblico (torniamo la diario segreto dei nostri 12 anni). Però la molla primaria è quel bisogno profondo, quell’ossessione che ti fa fremere al pensiero di metterti al lavoro.

Molti resteranno scrittori mediocri, ma non negherò mai loro il diritto di dedicarsi a questa passione con tutte le loro forze. Anche perché si fanno miracoli con la costanza e il lavoro artigianale quotidiano. Diversa è la questione di chi s'improvvisa. Quelli dovrebbero solo imparare un po' di umiltà e togliersi dalla scena. In fretta, possibilmente.

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