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domenica 9 luglio 2017

FANTALIBRI: "La quinta onda" di Rick Yancey


Ma ci considerate tutti cretini o il privilegio di essere tali è riservato agli YA, cioè gli Young Adults? Certo, cresciuti a cavolate, i ragazzi di oggi potrebbero avere uno spirito critico un po’ atrofizzato, ma come insegnante conosco tanti adolescenti che non sono affatto scemi e tanti insegnanti e genitori che si danno da fare per scongiurare il pericolo che si rimbecilliscano. Ciò nonostante, “La quinta onda” di Rick Yancey ha avuto successo ed è apprezzato anche da molti Adults senza Young, i quali in teoria dovrebbero essere più smaliziati. 



Il modo in cui è approdato nella nostra amata penisola è sempre lo stesso: gli americani, che ingoiano qualsiasi schifezza purché sia saporita e faccia ingrassare, lo hanno comprato (magari bombardati da un’efficace pubblicità), un produttore ci ha fatto un film (che non vedrò se non sotto tortura) e ai nostri poveri editori, sull’orlo del collasso, non è parso vero di accaparrarselo. E piazzarci il bollino “best seller”. Ma noi italiani, noi che modestamente il cervello lo sappiamo usare e che siamo ipercritici su qualsiasi cosa, non potremmo imparare a vagliare la letteratura con la stessa chirurgica precisione con cui ci lamentiamo che gli spaghetti in Papuasia non li sanno cuocere al dente?

No, ci esaltiamo per un testo con una trama che fa acqua più del mio scolapasta, con più incongruenze dei discorsi di un fidanzato fedifrago decisamente ubriaco e con personaggi dello spessore di una figurina dei calciatori.

Iniziamo dalla più grossa baggianata: gli alieni. Per chi non lo sapesse “La quinta onda” parla dell’abusatissimo tema dell’invasione aliena: un’astronave, simile a un occhio verde e maligno, compare nel cielo e parte il solito circo di esaltati new age etc. Ma gli alieni non sono buoni. Distruggono quasi del tutto l’umanità in tre ondate: onda elettromagnetica, tsunami ed epidemia, usando la loro potentissima tecnologia. Peccato che gli alieni siano incorporei. Sono pure intelligenze, che cercano un mondo da abitare dopo avere sputtanato il loro (che originalità) e quindi devono fare piazza pulita. Tuttavia, abitare significa avere corpi e così si prendono alcuni dei nostri. Sorvoliamo sulla scopiazzatura palese da l’ "Invasione degli ultracorpi": d’altronde è difficile essere originali oggigiorno. Ma vorrei capire che se ne fanno esseri incorporei di una nave spaziale, come attivano i macchinari, come operano. Il libro non lo dice. Il libro è reticente su molte cose. Forse verranno svelate nei successivi volumi (che non leggerò). L’unica soluzione è che si siano riversati in robot dotati di arti, occhi, orecchie e tutto il resto, ma se così fosse perché non portare avanti l’invasione tramite macchine perfettamente sostituibili? No, lo fanno coi nostri fragili corpicini di carne che possono essere uccisi dai nostri fucili. 





Ma veniamo al movente, al metodo e alla tempistica dell’invasione. 
Il movente. I poveri alieni disincarnati vogliono ricominciare a provare i piaceri della carne (li capisco) e scelgono la Terra e l’umanità. Ma odiano l’umanità e il suo modus vivendi. Entrano nei corpi quando sono ancora feti, stanno lì latenti per decenni e poi paff!, quando l’ospite ha accumulato ricordi, sentimenti, affetti, si manifestano e gli dicono: “Tu non sei tu, tu sei me. Rinuncia alla tua umanità, lascia tua madre e tuo padre, anzi già che ci sei sterminali, insieme a tua sorella, la tua ragazza e gli amici del liceo.”

Il conflitto interiore dovrebbe essere tragicissimo, ma viene descritto in modo alquanto annacquato attraverso il POV di un unico personaggio per una manciata di pagine. Nessuno è colto da una ovvia schizofrenia: sono tutti SS scatenate senza coscienza.

Il metodo. E la tempistica. Sono seimila anni che gli alieni ci osservano per capire come pensiamo, in modo da fregarci. E che cosa fanno? Agiscono adesso, nell’era atomica, nell’epoca tecnologica, in cui invece di sterminare qualche milioncino di individui dediti all’agricoltura di sussistenza e all’allevamento di capre, se ne trovano davanti sette miliardi, armati e sgamati. E soprattutto oggi che la Terra è al capolinea, inquinata, ingombra di città, fabbriche e tutto il corredo di una civiltà che è giunta al collasso. Come dire che cambio la mia casa distrutta con un catapecchia fatiscente e infestata da sorci armati fino ai denti. Geniale, no? E neppure si può dire che si sostituiscano alla maggior parte di noi e sfruttino ciò che noi abbiamo fatto e costruito, perché a) sono poche migliaia e b) tutto è in sfacelo. Ovunque roba che brucia, edifici abbandonati, ingombri di cadaveri putrescenti. Insomma, rischiano di passare qualche centinaio di anni a fare le pulizie di primavera e, ahimè, non ci sono tappeti sotto cui nascondere la spazzatura di un pianeta intero.

Ma come si suol dire, chi rompe paga e i cocci sono suoi. Cavoli loro, no? Resta il fatto che sono alieni incorporei, supertecnologici e… dementi.

Passiamo ai buchi della trama. Ovviamente i protagonisti sono adolescenti sopravvissuti e cazzutissimi, se no non si giustificherebbe lo YA. Sono sopravvissuti anche degli adulti, ma gli alieni dementi decidono di sterminarli sistematicamente mentre salvano i piccoli al di sotto dei 15 anni per addestrarli come bambini soldato che, ingannati, li aiuteranno a far fuori i pochi umani rimasti. Perché? Perché i bambini sono manipolabili più dei grandi. Possibile. Inoltre questo fa gioco all’autore che si toglie dalle balle gli adulti ritrovandosi solo con dei ragazzini e può infilare nella storia un po’ di Isis, un po’ di Boko Haram e una buona dose di quei filmacci sui sergenti di ferro che urlano e ti torturano per fare di te un verso soldato. Peccato che uno dei protagonisti, usato in queste truppe, abbia superato da tempo i 15 anni. Tra l’altro viene salvato dalla pestilenza proprio dagli alieni. Perché lui sì e gli altri no? Perché non hanno voluto addestrare la sanissima Cassie (altra protagonista) a causa dei limiti di età (ne ha sedici) e invece hanno rimesso in piedi un ragazzo più grande? Misteri alieni. O forse all’autore serviva lui perché lui è il Figo del liceo per cui Cassie sbavava e tutti i ragazzini deficienti americani, suoi lettori affezionati, si chiedono: “Lo faranno alla fine del libro?”

No che non lo faranno, ovviamente! Perché questo è uno YA puritano, infarcito di sangue, pestilenze, cadaveri e violenza ma senza sesso. Guai! Non sia mai che nel mezzo dell’apocalisse una sedicenne americana di oggi, dopo aver limonato col ventenne Mr. Figo 2 (che se la contende con Figo 1), abbracciata a letto con lui dica: “Ma sì, godiamoci questa serata! Tanto che me ne faccio della verginità se domani crepo? Chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza! Yuppieeeee!!! ” SCANDALO! Sembra di sentire i genitori della Bible Belt che raccomandano: “Tesoro, uccidi pure il nemico sparandogli in faccia mentre stringe un crocifisso, ma tieniti strette le mutande!”

Ma torniamo alla base di addestramento degli alieni camuffati da brave persone. Ovviamente i bambini-soldato non sono dei cretini, e alcuni sgamano di essere stati manipolati. Costoro vengono ammazzati senza pietà. E ci sta anche. Ma allora perché gli alieni, quando scoprono che tre sbarbatelli hanno capito tutto e violato la loro supermega base, non si limitano a scovarli e farli fuori? Perché sentono il bisogno di radere al suolo la base??? Ma sono davvero dementi! Menti dementi!

Tutto perché? Perché i nostri devono scappare nel mezzo del delirio, col rischio di essere presi, di esplodere con la base. Il nostro eroe Figo 1, con un buco in un fianco, anche se, uscito di soppiatto dall’ospedale, si trascinava come uno zombie, adesso deve arrampicarsi per i muri lisci salvando la bella (e sana) fanciulla e il di lei fratellino mentre la maglia è zuppa di sangue. Solo così potrà riscattarsi dai passati errori. E poi, Figo 2 deve fare esplodere l’arsenale interno della base (sì, gli alieni sono fuggiti come se avessero alle calcagna i mastini infernali e non tre sbarbatelli e hanno lasciato lì tutte le loro superbombe!!!). E così c’è la scena epica dei fuggitivi che corrono mentre la terra si apre, come in un B-movie dei più biechi. Il regista del film ci sarà andato a nozze!

Ma non è finita. Ora veniamo alla tecnica di scrittura. La storia è narrata in prima persona da due personaggi e mezzo (come dicevo il mezzo alieno racconta dal suo POV solo per poche pagine), e raccontata in terza persona da un narratore esterno per il resto del libro, con una rigorosa alternanza dei due metodi, il che già è straniante. Inoltre, il tutto è al presente storico, con incursioni nell’imperfetto e nel trapassato prossimo in un continuo rincorrersi di flashback. Insomma, nessuno è morto e ha lasciato detto: "Terza persona, passato remoto! Se no brucerai all'inferno!", però a tratti disturba davvero. L’unico vantaggio è una certa vivacità del testo che, lo ammetto, si legge tutto d’un fiato.

Ma è sufficiente? Basta che sia avvincente e tutto il resto non conta? Siamo ridotti a questo livello?

Non so voi, ma io no. Intrattenere e farsi intrattenere non significa abdicare completamente alla propria capacità di giudizio. E non venitemi a dire: “E uno YA, che ti aspetti?”, perché con questa storia mi sa che molti adulti si sparano delle emerite cavolate scaricandosi la coscienza. Come se un libro per ragazzi avesse la licenza speciale di stupidità e di scrittura approssimativa. No, l’adolescente non è un cretino. Basta proporgli delle cose intelligenti e lui le apprezzerà. Dopotutto abbiamo ragazzi che a 16 anni traducono Cicerone e discutono di filosofia greca. I cretini sono altri… E temo abbiano ben più di 18 anni.

giovedì 4 maggio 2017

IL LABORATORIO DELLO SCRITTORE – Il disfattista, il successo e la vocazione


Oggi ho letto un post di un tale che non conosco e non nomino, il quale si divertiva a fare sentire tutti coloro che amano scrivere come poveri falliti senza speranza. Non hai venduto 10.000 copie? I tuoi editori non ti pagano in anticipo per le prossime opere? Non pubblichi coi big? FALLITO! SFIGATO! TI DOVREBBERO TOGLIERE IL PC, LA CARTA, LA PENNA E PURE LA PATENTE (non si sa mai)!

Devo ammettere che la prosa del tizio, afferente al genere dell’invettiva (stavo scrivendo “infettiva”, lapsus freudiano), aveva un suo fascino decadente. Del tipo: vedo tutto nero, uso il turpiloquio, getto sterco sull’umanità e questo mi fa godere. Perché io non sono banale. Non ho buoni sentimenti. Io sono duro e puro. Ho un alunno così. Peccato che abbia 13 anni!

  Intendiamoci, a me non interessa insultare questo sconosciuto demolitore seriale di zebedei altrui. Per carità! E neppure negare che tanta gente farebbe meglio a non scrivere affatto. O che alcuni farebbero meglio a non fregiarsi di titoli che non hanno. Come osserva una vignetta che circola sul web, non siamo tutti Jedi solo perché abbiamo un accappatoio....

Però dissento sull'idea che scrittore sia solo chi ha successo. In tutte le epoche, infatti, abbiamo avuto i best seller spazzatura che poi sono spariti come la cacca del marinaio. Che dire dei romanzi barocchi? O di quelli ottocenteschi per cameriere? O dei libri tratti dai serial televisivi degli anni 80, delle biografie della zoccola del momento, dalle elucubrazioni di qualche calciatore sul viale del tramonto? Forse sono più spocchiosa del nostro blogger sconosciuto, ma se vendere 10.000 copie di emerite boiate scritte coi piedi vuol dire essere veri scrittori, allora preferisco essere definita in altro modo.

Insomma, sono troppi i fattori che avvicinano o allontanano dal successo e, mi dispiace, caro disfattista, non sono tutti collegati al talento!

Vi citerò un passo del mio libro (mi dispiace, ma ne ho scritto uno anch’io) per illustrare il mio punto di vista:

<< Che cos’è la letteratura, amici? Un modo obsoleto per passare il tempo risalente a epoche in cui non c’era nulla di meglio? Il frutto di menti malate per il piacere di altre menti malate? Una nobile attività che eleva lo spirito? Un’industria spietata? Un mezzo di comunicazione o piuttosto un mezzo per confondere le acque con idee inutili? Vita vissuta che diventa pagina scritta o pagina scritta che si atteggia a vita? Tanto fumo e poco arrosto o molto arrosto senza fumo?
E chi sono gli scrittori? Una categoria di psicopatici? Marpioni dalla parolina facile? Fantocci per i mass-media? Personaggi oscuri e misteriosi? Cuochi di banalità o chef che sanno trasformare una patata in una leccornia?
Dopo avere approfondito l’argomento, non sono giunto a una conclusione definitiva. Nel mondo della letteratura c’è di tutto.
Una cosa, però, l’ho capita: diventare scrittori di fama non ha a che fare né col talento né col messaggio che si trasmette, ma con un’alchimia di fattori. Alcuni hanno cercato di trovare la formula magica di questo fenomeno per riprodurlo a piacimento, ma nessuno ci è riuscito. La pietra filosofale del successo letterario resta misteriosa.
Innanzi tutto, come in tutte le cose, c’è il “momento”. Certa gente che compare sui libri di scuola, se fosse vissuta in un’altra epoca sarebbe rimasta sconosciuta.
Poi c’è la fortuna. Avete presente quella pila di manoscritti sulla scrivania dell’editore? E quella serata con la segretaria su quella stessa scrivania? E la pila che cade, così l’ultimo manoscritto di apre? E l’editore che sente la voce della moglie si nasconde insieme alla segretaria sotto la scrivania per sistemarsi e fingere di riordinare quel disastro? Ed ecco la moglie inferocita, l’editore prende quel manoscritto in mano e declama le prime righe, aggiungendo: “Vede, signorina, come scorre? Che penna! Che penna! Questo giovanotto ci farà vendere milioni di copie!”
Altri fattori? L’orientamento politico, naturalmente! Geni letterari sono stati scartati per le loro idee e scribacchini immondi, invece, hanno cavalcato la tigre per anni.
Le amicizie altolocate. Dicono che nella vita non si va da nessuna parte senza un amico al posto giusto.
E poi, è evidente, gli scandali!
Non c’è niente di meglio di uno scandalo per lanciare un libro.>>
(tratto da “Cicerone. Memorie di un gatto geneticamente potenziato”)

Che ne dite? Certo, certo, se scrivi “io ho stato” e fai addormentare anche uno strafatto di Red Bull, forse ti devi chiedere se sia il caso di continuare, ma vi do una triste notizia: esistono davvero dei bravi scrittori che non hanno avuto fortuna. No, non sono creature mitiche come lo snaso (io adoro lo snaso!) o il liocorno.

Ma veniamo alla motivazione. Perché si scrive?

Secondo il disfattista la gente scrive per potere dire tutta tronfia: “Il mio libro”; o anche: “Sono uno scrittore.” Poi, per darsi un tono, paragona la scrittura all’onanismo. E qui mi girano per una serie di motivi.  Innanzi tutto la scelta del termine è inappropriata: non vi ammorberò con questioni bibliche, ma posto di usare onanismo nel senso di trastulli solitari, che c'entra la letteratura? Quello è un trastullo pubblico! Semmai è una cosa di gruppo! Cioè, parte in privato, ma poi necessita di essere condivisa, se no è il diario segreto di quando avevamo 12 anni. Secondo, caro mio, da che pulpito! Perché tieni un blog, amico, se non per il tuo narcisistico bisogno di pavoneggiarti sul web? Per l’insopprimibile voglia di essere letto e commentato?

Io almeno lo so perché scrivo e ha a che fare con quello che Hillman chiama daimon, vocazione, destino. In parole povere, io senza scrivere non ci so stare. E’ una necessità quasi fisiologica. Ovviamente, se domani fossi insignita del nobel per la letteratura sarei felicissima (a parte i soldini che la cosa comporta). Non dirò che scrivo solo per me stessa e chissenefrega del pubblico (torniamo la diario segreto dei nostri 12 anni). Però la molla primaria è quel bisogno profondo, quell’ossessione che ti fa fremere al pensiero di metterti al lavoro.

Molti resteranno scrittori mediocri, ma non negherò mai loro il diritto di dedicarsi a questa passione con tutte le loro forze. Anche perché si fanno miracoli con la costanza e il lavoro artigianale quotidiano. Diversa è la questione di chi s'improvvisa. Quelli dovrebbero solo imparare un po' di umiltà e togliersi dalla scena. In fretta, possibilmente.