lunedì 29 maggio 2017

FANTASERIE: The Man in the High Castle


Non amo Philp K. Dick. Lo dico come premessa. E’ una questione di “pelle”, forse di stile di scrittura, in parte di approccio alla realtà. Non ci posso fare niente. La pioggia sporca, l’inquietudine, quella fragilissima speranza in un mondo popolato di vivi che non sono vivi veramente… Confesso di fare davvero fatica a leggerlo. Eppure, a suo tempo, ho divorato “La svastica sul sole” ( ripubblicato poi come “L'uomo nell’alto castello” , traduzione letterale di “The man in the high castle”).
Così, quando è uscito il serial, mi sono subito incuriosita. Tanto più che anche in questa trasposizione c’era lo zampino di Ridley Scott. Per una che ha visto “Blade Runner” otto volte come minimo e lo ripropone ogni anno agli alunni di terza media, beh, era una premessa irresistibile.
Eppure ho atteso fino ad oggi per decidermi a svelare il meccanismo di Prime Video (la serie è una produzione originale di Amazon) e guardarmi le prime due stagioni (la prima del 2015, l’altra del 2016). Ma cavolo se ne è valsa la pena!

https://www.primevideo.com/drf04-21


Ma andiamo per ordine. Per chi non lo sapesse “La svastica sul sole” è uno dei molti libri di fantascienza ucronica riguardanti i nazisti. L’idea, quindi, può apparire banale: e se i tedeschi avessero vinto la guerra? Ma c’è di più. Da autentico visionario, Dick intreccia infatti due ucronie: quella in cui nazisti e giapponesi si sono spartiti il mondo, e un’altra in cui gli alleati hanno vinto, ma comunque le cose non sono andate come nella nostra linea temporale. Quest’ultima è contenuta in un libro di fantascienza nella fantascienza, un libro nel libro: “La cavalletta non si alzerà più”, che diventa la Bibbia della resistenza in quanto fa intravedere una speranza, un altro mondo possibile.
Da qui nasce “The man in the high castle”, la serie prodotta da Amazon. Con alcune importanti innovazioni e differenze, tra cui personaggi che nell’opera di Dick non c’erano, o che si delineano diversamente, assumendo ruoli di primo piano. Prima tra tutti Juliana, che è il perno di tutto.
Qualcuno potrebbe dire che sia tratta di un tradimento e forse lo è, ma questo tradimento ha dato origine a qualcosa di veramente ben fatto.

Una delle idee geniali è stata quella dei film che si sostituiscono al romanzo “La cavalletta non si alzerà più” (ma ne conservano il titolo, in omaggio al testo di Dick). Qui la forza delle immagini (cinegiornali muti in bianco e nero, provenienti da linee temporali che si incrociano e si dipanano in un groviglio difficile da dipanare) si sostituisce alla lettura del libro proibito. Una scelta dettata dal mezzo visivo? Forse, ma davvero molto ben riuscita, anche perché i personaggi per lo più non visionano i film e coloro che lo fanno (si contano sulle punte delle dita di una mano) restano spiazzati, non sanno come interpretare quelle pellicole, si sforzano di dare loro un senso. L’uomo nell’alto castello, quindi, da autore diventa decodificatore privilegiato dei film.

Tuttavia, così, si perde, ovviamente, la figura del genio visionario che attraverso un antico oracolo, l’I-ching, compone la sua opera. E con essa il suggerimento che certi romanzi, forse anche la stessa “Svastica sul sole”, siano opera di forze sovrannaturali che si servono dello scrittore come di un medium.

Una poetica dickiana della fantascienza o più in generale del mestiere di scrivere? Forse.
Sappiamo tutti che Dick era affascinato dai poteri degli stupefacenti e dalla ricerca del divino. Lui stesso fece pesante uso di anfetamine e attraversò un periodo in cui, preda di allucinazioni (o di un’esperienza extrasensoriale?) si convinse di vivere due vite in due tempi storici differenti, grazie alla “possessione” da parte di un’entità soprannaturale.

Insomma, nella serie si percepisce poco questo continuo squarciarsi del velo della realtà per mostrare altre ipotesi, altri mondi, in un turbinio di strade che somigliano più a una caotica China Town che al Giappone, tra spirali di fumo di sigarette alla marijuana.

Eppure la serie è davvero ben fatta e appassiona. Forse il segreto è staccarsi dalla matrice e vederla come un germoglio uscito dallo stesso tronco ma sostanzialmente diverso. Per certi versi un innesto. Un figlio creativo più che un figlio degenere, a tratti addomesticato, forse, ma comunque capace di comunicare qualcosa. Un po’ come quando mangi certe rivisitazioni di piatti tradizionali e capisci che non devi concentrati sul sapore di casa tua, ma apprezzare i nuovi sapori che si sovrappongono all’antico.

Insomma, lo consiglio? Decisamente. Ma avverto chi ha letto il libro di non farsi prendere dal criticismo esasperato.  E chi non lo ha letto di godersi la serie e basta.

Nessun commento:

Posta un commento