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lunedì 15 aprile 2019

IL LABORATORIO DELLO SCRITTORE: AMMMOREEEEE

AMMORE O NON AMMORE? Questo è il dilemma, cari scrittori.

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A sentire ciò che si dice in giro, la risposta è: "GIAMMAI!"
Risposta suffragata dall'allergia (presunta) di molti lettori di fronte a ogni palpitazione del cuoricino dei nostri personaggi, a ogni sguardo appassionato, a ogni fremito, a ogni brivido che percorre la schiena e, come avrebbe detto Merope Generosa alias Anna Marchesini (quanto ci manchi! 😥), va a finire sempre LÀ. Sì sì, laggiù, avete capito bene, nella Danger Zone o forse sarebbe meglio Pleasure Zone.
 Risultati immagini per merope generosa

Proprio oggi una lettrice accanita su una nota pagina Facebook dedicata alla letteratura scrive: "Odio la roba sdolcinata!"
Ci sta, sorella, ci sta (Oddio, scrivo come i miei alunni adesso?)
Capisco che dall'appassionato allo stucchevole il passo è breve. E comprendo anche che se uno è appassionato di astronavi, a volte il siluro delle parti basse ci stia come i cavoli a merenda. Oppure sei lì nel mezzo di un fantasy senza esclusione di colpi e il mago improvvisamente tira fuori la bacchetta a sproposito (siamo sempre nella metafora, per chi non l'avesse capito).
Poi c'è da dire che siamo stati tutti traumatizzati dalle "50 sfumature di grigio", un romanzo che più che eccitare stimola a evacuare.

Eppure mi chiedo:  
SI PUÒ DAVVERO ELIMINARE L'AMORE (E IL SESSO) DALLA LETTERATURA?

Probabilmente la risposta più logica è la stessa che darei a quelli che si aggrovigliano sulla pubblica piazza: est modus in rebus, che tradotto terra terra significa fatelo con moderazione e in luoghi acconci. NB: La moderazione ovviamente è un consiglio letterario.
L'amore, infatti, che vi piaccia o meno, è una componente della vita umana, quindi non capisco come si possa far finta che non esista in un romanzo che proprio di tale natura tratta. Nel bene e nel male. Ha fatto crollare regni, ha fatto commettere omicidi e tradimenti, ha rincitrullito anche i più saggi. E non solo: l'amore ispira i più nobili sentimenti, induce ai sacrifici più commoventi, induce a percorrere chilometri trasferendosi all'altro capo del mondo, ci dà quella spinta vitale capace di muovere il cambiamento interiore.

Come si può eliminarlo?

Volete la mia opinione? No, ma ve la do lo stesso. 

ELIMINARE L'AMORE È UNA GRAN CAVOLATA!

Quanto poi a quelli che, appena c'è un bacetto al tramonto e un abbraccio tra lenzuola stropicciate, gridano allo scandalo urlando: "Sembra un Harmony!", vi do qualche notizia utile.



1) Ho tradotto per anni gli Harmony e non nascondo che alcuni fossero davvero biechi, ma hanno permesso a gente che non avrebbe letto altro che la lista della spesa, di appassionarsi alla lettura. Infatti il romance tira sempre, se mi permettete il termine ambiguo.

2) Care donne che tuonate contro la letteratura "sdolcinata", cercando di apparire "maschie", in una vostra personale interpretazione del femminismo, non ci crede nessuno! Vi abbiamo viste a sfogliare margherite chiedendovi se vi ama o vi odia. Vi abbiamo a consultare le cartomanti per sapere se è lui quello giusto. Vi abbiamo ascoltate per ore al telefono, mentre sproloquiavate riguardo alla vostra ultima relazione sulle ali dell'euforia o sull'orlo della disperazione.



3) Vi informo che nei secoli la letteratura d'amore, le poesie zuccherose e le scene hardcore non le hanno scritte le donne, ma gli uomini. La cosiddetta letteratura "femminile" è cosa recente, anche perché, purtroppo, in passato, scrivevano tutto loro, i maschi, mentre a noi toccava fare la calza.

4) Denigrare alcune donne perché amano eccitarsi leggendo un romanzo, per quanto orribile come le 50 sfumature di fuffa, è sessista. Dopotutto, ognuno è libero di eccitarsi come meglio gli pare, nei limiti della legge e della decenza.

Quindi, dato che è primavera, avanti con l'AMMMOREE!

Sognate pure, lasciate a briglia sciolta il vostro cuore. Quanto alla penna (quella vera), chiedetevi solo se quella scena la state scrivendo per tirare su lettori, quasi per un obbligo, o invece perché ha un senso nella vostra storia.
E a chi oserà prendervi in giro date dello zitello/a inaridito/a e consigliate una vacanza su LOVE BOAT, dove l'incontro con l'anima gemella è garantito anche a novant'anni.
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Le immagini sono prese dal web. Alcune sono modificate da me, come la copertina: è fittizia, ma potrebbe essere originale. 😎😜

sabato 6 maggio 2017

SUPERFANTAUTORI: Amitav Ghosh



“Perché scrive romanzi e non saggi di storia?”
“BECAUSE FICTION SHOWS THE WAY”, è stata la risposta semplice, pregnante, per certi versi intraducibile, che Amitav Ghosh ha dato al termine della conferenza organizzata ieri dall’Istituto Confucio presso l’Università degli Studi di Milano.

In che modo un romanzo “mostra la strada”, “indica la via”? Basta leggere i libri di Ghosh per capirlo. Quindi, se non lo avete fatto, cominciate adesso. E, vi assicuro, avrete l’imbarazzo della scelta! Questo prolifico scrittore, antropologo e giornalista indiano di Calcutta, infatti, è famoso per una serie di romanzi bellissimi come “Il paese delle maree” (traduzione poco felice di “The Hungry Tide”, il mio preferito in assoluto), “Loschiavo del manoscritto” (tratto dalla sua tesi di dottorato discussa a Oxford, scusate se è poco!), “Le linee d’ombra”, “Il palazzo degli specchi”, "Il cerchio della ragione". E ovviamente l’incredibile e potente “Trilogia della Ibis” composta da “Mare di Papaveri”, “Il fiume dell’oppio” e “Diluvio difuoco”, che è stata l’oggetto della conferenza di ieri dal titolo “Where China and India Met: Canton (Guangzhou) in the 19th Century”. Gli appassionati di fantascienza, poi, potranno cimentarsi con “Il cromosoma Calcutta”, che però, devo ammettere, è stato quello che mi è piaciuto di meno, nonostante la mia passione per il fantastico.*


Che cosa accomuna questi libri? Una sapienza narrativa notevole unita a una grande ricchezza di linguaggio e a una ricerca rigorosissima. Ed ecco che vediamo in che modo la fiction “shows the way.” Ciò che, infatti, in un saggio sarebbe una interessante ma fredda esposizione di dati e nozioni corredate da note chilometriche (“Odio scrivere le note a piè di pagina” ha detto ridendo Ghosh), in questi romanzi prende vita. E ciò accade perché si crea quel legame, quell’immedesimazione potente con le vicende umane dei personaggi che ti permette di vivere molte vite ed essere arricchito da tutte.

Voi non potete avere l’idea di che cosa ha significato ascoltare questo scrittore mentre sciorinava, con l’aiuto di un power point, una valanga di informazioni di carattere storico, geografico, etnografico, raccolte usando gli strumenti appresi sicuramente quando studiava antropologia. Ghosh ha fatto ricerca presso archivi, ma anche andando sul posto, intrufolandosi nel cimitero Parsi di Canton, parlando con le persone. Ci ha mostrato i quadri che raffiguravano vedute dei vari luoghi di cui parla nei romanzi, i volti di uomini e donne che sicuramente hanno ispirato i suoi personaggi, e persino fiori e oggetti. Tutto ciò si dispiegava davanti a noi, insieme a dati statistici, cartine geografiche, annotazioni curiose. Ma vi assicuro che non c’era modo di annoiarsi, almeno non per chi, come me, ha divorato la trilogia.
In pratica, era come assistere al processo creativo dell’autore, o almeno alla costruzione delle basi scientifiche della sua opera. E ciò non poteva non fare eco in me con ciò che scrivevo pochi giorni fa riguardo alle tecniche compositive e alla creazione e all’uso del background.

A quel punto non potevo non fargli la grande domanda. “Lo so che uno scrittore deve conoscere tutti i dettagli, sapere persino che cosa i suoi personaggi mangiano a colazione [qui lui ha sorriso], ma come si fa a non rimanere ingabbiati in questa mole di dati? A non sentirsi condizionati?

“Devi costantemente tenere a mente questa cosa. Devi tenere a mente che la gente è interessata alla gente. Ai personaggi. Io inserisco solo i dettagli che trovo interessanti. Per esempio sono molto interessato ai menu [qui chi ha letto la trilogia, ricorderà l’incredibile descrizione di una banchetto offerto da un notabile cinese]. Ma poi, in realtà, scrivere un romanzo storico o un romanzo ambientato, che so, a Milano oggi, comporta gli stessi tipi di costrizioni. Per esempio, devo conoscere quali strade si dipanano dal Duomo. E’ la stessa cosa. Ci sono solo differenti tipi di costrizioni, ma sostanzialmente affini.”**

Con una difficoltà in più, aggiungo io a mente fredda: che io posso uscire a fare una passeggiata, segnarmi i tempi di percorrenza della metropolitana, annotarmi l’odore che si respira, godere del sole che si riflette sul marmo del Duomo. Posso percorrere quelle strade ed entrare in un ristorante milanese, leggere il menù e assaporare quei cibi. Ma lo storico deve ricostruire tutto con un lavoro di mesi o di anni.
Insomma, potete capire il mio entusiasmo. E la gioia quasi infantile con cui mi sono fatta autografare per prima il “Paese delle maree” e ho chiesto di fare una foto con lui. Ancora sorrido come un’ebete al ricordo!

*I libri sono tutti editi da Neri Pozza tranne "Il cerchio della ragione" edito da Einaudi.
**Le parole di Ghosh che riporto sono frutto della mia traduzione di ciò che sono riuscita ad annotare frettolosamente nello stato di stupore in cui mi trovavo. Se ci fossero errori o inesattezze, me ne scuso e sono pronta a correggerli.

giovedì 4 maggio 2017

IL LABORATORIO DELLO SCRITTORE – Il disfattista, il successo e la vocazione


Oggi ho letto un post di un tale che non conosco e non nomino, il quale si divertiva a fare sentire tutti coloro che amano scrivere come poveri falliti senza speranza. Non hai venduto 10.000 copie? I tuoi editori non ti pagano in anticipo per le prossime opere? Non pubblichi coi big? FALLITO! SFIGATO! TI DOVREBBERO TOGLIERE IL PC, LA CARTA, LA PENNA E PURE LA PATENTE (non si sa mai)!

Devo ammettere che la prosa del tizio, afferente al genere dell’invettiva (stavo scrivendo “infettiva”, lapsus freudiano), aveva un suo fascino decadente. Del tipo: vedo tutto nero, uso il turpiloquio, getto sterco sull’umanità e questo mi fa godere. Perché io non sono banale. Non ho buoni sentimenti. Io sono duro e puro. Ho un alunno così. Peccato che abbia 13 anni!

  Intendiamoci, a me non interessa insultare questo sconosciuto demolitore seriale di zebedei altrui. Per carità! E neppure negare che tanta gente farebbe meglio a non scrivere affatto. O che alcuni farebbero meglio a non fregiarsi di titoli che non hanno. Come osserva una vignetta che circola sul web, non siamo tutti Jedi solo perché abbiamo un accappatoio....

Però dissento sull'idea che scrittore sia solo chi ha successo. In tutte le epoche, infatti, abbiamo avuto i best seller spazzatura che poi sono spariti come la cacca del marinaio. Che dire dei romanzi barocchi? O di quelli ottocenteschi per cameriere? O dei libri tratti dai serial televisivi degli anni 80, delle biografie della zoccola del momento, dalle elucubrazioni di qualche calciatore sul viale del tramonto? Forse sono più spocchiosa del nostro blogger sconosciuto, ma se vendere 10.000 copie di emerite boiate scritte coi piedi vuol dire essere veri scrittori, allora preferisco essere definita in altro modo.

Insomma, sono troppi i fattori che avvicinano o allontanano dal successo e, mi dispiace, caro disfattista, non sono tutti collegati al talento!

Vi citerò un passo del mio libro (mi dispiace, ma ne ho scritto uno anch’io) per illustrare il mio punto di vista:

<< Che cos’è la letteratura, amici? Un modo obsoleto per passare il tempo risalente a epoche in cui non c’era nulla di meglio? Il frutto di menti malate per il piacere di altre menti malate? Una nobile attività che eleva lo spirito? Un’industria spietata? Un mezzo di comunicazione o piuttosto un mezzo per confondere le acque con idee inutili? Vita vissuta che diventa pagina scritta o pagina scritta che si atteggia a vita? Tanto fumo e poco arrosto o molto arrosto senza fumo?
E chi sono gli scrittori? Una categoria di psicopatici? Marpioni dalla parolina facile? Fantocci per i mass-media? Personaggi oscuri e misteriosi? Cuochi di banalità o chef che sanno trasformare una patata in una leccornia?
Dopo avere approfondito l’argomento, non sono giunto a una conclusione definitiva. Nel mondo della letteratura c’è di tutto.
Una cosa, però, l’ho capita: diventare scrittori di fama non ha a che fare né col talento né col messaggio che si trasmette, ma con un’alchimia di fattori. Alcuni hanno cercato di trovare la formula magica di questo fenomeno per riprodurlo a piacimento, ma nessuno ci è riuscito. La pietra filosofale del successo letterario resta misteriosa.
Innanzi tutto, come in tutte le cose, c’è il “momento”. Certa gente che compare sui libri di scuola, se fosse vissuta in un’altra epoca sarebbe rimasta sconosciuta.
Poi c’è la fortuna. Avete presente quella pila di manoscritti sulla scrivania dell’editore? E quella serata con la segretaria su quella stessa scrivania? E la pila che cade, così l’ultimo manoscritto di apre? E l’editore che sente la voce della moglie si nasconde insieme alla segretaria sotto la scrivania per sistemarsi e fingere di riordinare quel disastro? Ed ecco la moglie inferocita, l’editore prende quel manoscritto in mano e declama le prime righe, aggiungendo: “Vede, signorina, come scorre? Che penna! Che penna! Questo giovanotto ci farà vendere milioni di copie!”
Altri fattori? L’orientamento politico, naturalmente! Geni letterari sono stati scartati per le loro idee e scribacchini immondi, invece, hanno cavalcato la tigre per anni.
Le amicizie altolocate. Dicono che nella vita non si va da nessuna parte senza un amico al posto giusto.
E poi, è evidente, gli scandali!
Non c’è niente di meglio di uno scandalo per lanciare un libro.>>
(tratto da “Cicerone. Memorie di un gatto geneticamente potenziato”)

Che ne dite? Certo, certo, se scrivi “io ho stato” e fai addormentare anche uno strafatto di Red Bull, forse ti devi chiedere se sia il caso di continuare, ma vi do una triste notizia: esistono davvero dei bravi scrittori che non hanno avuto fortuna. No, non sono creature mitiche come lo snaso (io adoro lo snaso!) o il liocorno.

Ma veniamo alla motivazione. Perché si scrive?

Secondo il disfattista la gente scrive per potere dire tutta tronfia: “Il mio libro”; o anche: “Sono uno scrittore.” Poi, per darsi un tono, paragona la scrittura all’onanismo. E qui mi girano per una serie di motivi.  Innanzi tutto la scelta del termine è inappropriata: non vi ammorberò con questioni bibliche, ma posto di usare onanismo nel senso di trastulli solitari, che c'entra la letteratura? Quello è un trastullo pubblico! Semmai è una cosa di gruppo! Cioè, parte in privato, ma poi necessita di essere condivisa, se no è il diario segreto di quando avevamo 12 anni. Secondo, caro mio, da che pulpito! Perché tieni un blog, amico, se non per il tuo narcisistico bisogno di pavoneggiarti sul web? Per l’insopprimibile voglia di essere letto e commentato?

Io almeno lo so perché scrivo e ha a che fare con quello che Hillman chiama daimon, vocazione, destino. In parole povere, io senza scrivere non ci so stare. E’ una necessità quasi fisiologica. Ovviamente, se domani fossi insignita del nobel per la letteratura sarei felicissima (a parte i soldini che la cosa comporta). Non dirò che scrivo solo per me stessa e chissenefrega del pubblico (torniamo la diario segreto dei nostri 12 anni). Però la molla primaria è quel bisogno profondo, quell’ossessione che ti fa fremere al pensiero di metterti al lavoro.

Molti resteranno scrittori mediocri, ma non negherò mai loro il diritto di dedicarsi a questa passione con tutte le loro forze. Anche perché si fanno miracoli con la costanza e il lavoro artigianale quotidiano. Diversa è la questione di chi s'improvvisa. Quelli dovrebbero solo imparare un po' di umiltà e togliersi dalla scena. In fretta, possibilmente.