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sabato 6 maggio 2017

SUPERFANTAUTORI: Amitav Ghosh



“Perché scrive romanzi e non saggi di storia?”
“BECAUSE FICTION SHOWS THE WAY”, è stata la risposta semplice, pregnante, per certi versi intraducibile, che Amitav Ghosh ha dato al termine della conferenza organizzata ieri dall’Istituto Confucio presso l’Università degli Studi di Milano.

In che modo un romanzo “mostra la strada”, “indica la via”? Basta leggere i libri di Ghosh per capirlo. Quindi, se non lo avete fatto, cominciate adesso. E, vi assicuro, avrete l’imbarazzo della scelta! Questo prolifico scrittore, antropologo e giornalista indiano di Calcutta, infatti, è famoso per una serie di romanzi bellissimi come “Il paese delle maree” (traduzione poco felice di “The Hungry Tide”, il mio preferito in assoluto), “Loschiavo del manoscritto” (tratto dalla sua tesi di dottorato discussa a Oxford, scusate se è poco!), “Le linee d’ombra”, “Il palazzo degli specchi”, "Il cerchio della ragione". E ovviamente l’incredibile e potente “Trilogia della Ibis” composta da “Mare di Papaveri”, “Il fiume dell’oppio” e “Diluvio difuoco”, che è stata l’oggetto della conferenza di ieri dal titolo “Where China and India Met: Canton (Guangzhou) in the 19th Century”. Gli appassionati di fantascienza, poi, potranno cimentarsi con “Il cromosoma Calcutta”, che però, devo ammettere, è stato quello che mi è piaciuto di meno, nonostante la mia passione per il fantastico.*


Che cosa accomuna questi libri? Una sapienza narrativa notevole unita a una grande ricchezza di linguaggio e a una ricerca rigorosissima. Ed ecco che vediamo in che modo la fiction “shows the way.” Ciò che, infatti, in un saggio sarebbe una interessante ma fredda esposizione di dati e nozioni corredate da note chilometriche (“Odio scrivere le note a piè di pagina” ha detto ridendo Ghosh), in questi romanzi prende vita. E ciò accade perché si crea quel legame, quell’immedesimazione potente con le vicende umane dei personaggi che ti permette di vivere molte vite ed essere arricchito da tutte.

Voi non potete avere l’idea di che cosa ha significato ascoltare questo scrittore mentre sciorinava, con l’aiuto di un power point, una valanga di informazioni di carattere storico, geografico, etnografico, raccolte usando gli strumenti appresi sicuramente quando studiava antropologia. Ghosh ha fatto ricerca presso archivi, ma anche andando sul posto, intrufolandosi nel cimitero Parsi di Canton, parlando con le persone. Ci ha mostrato i quadri che raffiguravano vedute dei vari luoghi di cui parla nei romanzi, i volti di uomini e donne che sicuramente hanno ispirato i suoi personaggi, e persino fiori e oggetti. Tutto ciò si dispiegava davanti a noi, insieme a dati statistici, cartine geografiche, annotazioni curiose. Ma vi assicuro che non c’era modo di annoiarsi, almeno non per chi, come me, ha divorato la trilogia.
In pratica, era come assistere al processo creativo dell’autore, o almeno alla costruzione delle basi scientifiche della sua opera. E ciò non poteva non fare eco in me con ciò che scrivevo pochi giorni fa riguardo alle tecniche compositive e alla creazione e all’uso del background.

A quel punto non potevo non fargli la grande domanda. “Lo so che uno scrittore deve conoscere tutti i dettagli, sapere persino che cosa i suoi personaggi mangiano a colazione [qui lui ha sorriso], ma come si fa a non rimanere ingabbiati in questa mole di dati? A non sentirsi condizionati?

“Devi costantemente tenere a mente questa cosa. Devi tenere a mente che la gente è interessata alla gente. Ai personaggi. Io inserisco solo i dettagli che trovo interessanti. Per esempio sono molto interessato ai menu [qui chi ha letto la trilogia, ricorderà l’incredibile descrizione di una banchetto offerto da un notabile cinese]. Ma poi, in realtà, scrivere un romanzo storico o un romanzo ambientato, che so, a Milano oggi, comporta gli stessi tipi di costrizioni. Per esempio, devo conoscere quali strade si dipanano dal Duomo. E’ la stessa cosa. Ci sono solo differenti tipi di costrizioni, ma sostanzialmente affini.”**

Con una difficoltà in più, aggiungo io a mente fredda: che io posso uscire a fare una passeggiata, segnarmi i tempi di percorrenza della metropolitana, annotarmi l’odore che si respira, godere del sole che si riflette sul marmo del Duomo. Posso percorrere quelle strade ed entrare in un ristorante milanese, leggere il menù e assaporare quei cibi. Ma lo storico deve ricostruire tutto con un lavoro di mesi o di anni.
Insomma, potete capire il mio entusiasmo. E la gioia quasi infantile con cui mi sono fatta autografare per prima il “Paese delle maree” e ho chiesto di fare una foto con lui. Ancora sorrido come un’ebete al ricordo!

*I libri sono tutti editi da Neri Pozza tranne "Il cerchio della ragione" edito da Einaudi.
**Le parole di Ghosh che riporto sono frutto della mia traduzione di ciò che sono riuscita ad annotare frettolosamente nello stato di stupore in cui mi trovavo. Se ci fossero errori o inesattezze, me ne scuso e sono pronta a correggerli.

lunedì 1 maggio 2017

IL LABORATORIO DELLO SCRITTORE: Due tecniche compositive



Giornata dei lavoratori. E lo scrittore che fa? Scrive. Perché scrivere non conosce vacanze. Quando ero ragazza scrivevo sui tovaglioli dei ristoranti. Adesso mi capita di scrivere di notte, mentre mangio, mentre parlo al telefono con la mamma… Peraltro la mamma lo sa che se sto scrivendo e dobbiamo uscire, può mettersi il cuore in pace. E che se viene lei a prendermi mi troverà in mutande con il PC acceso nascosto sotto le coperte. Non ho ancora sperimentato la scrittura sul water perché non vorrei produrre delle gran… Okay avete capito!

Ma torniamo a noi. E siamo seri, per una volta!

Attualmente sto lavorando a due libri: un romanzo di fantascienza e un fantasy.
Il primo è praticamente finito, ma se voglio partecipare al Premio Urania devo tagliare 50 pagine almeno. Il secondo, invece, è ancora all’inizio (ho scritto un’ottantina di pagine) e richiede, al contrario, di essere rimpolpato.
Ciò dipende da due opposte tecniche compositive

Nel caso del romanzo di fantascienza che sto scrivendo, sono partita da un’idea un po’ vaga di quello che volevo fare. Dopo essere stata folgorata da una visione, mi sono accorta che questa suggestione non si accompagnava a una trama precisa. In pratica, andava “ancorata” e tradotta nel concreto di una storia.
Per questo mi sono concentrata troppo sul quello che ogni giocatore di ruolo chiamerebbe il background. So persino di che colore hanno i calzini i miei personaggi, che cosa mangiano a colazione e quali sono stati i loro traumi infantili. Non c’è nulla che non va in questo. Io credo che l’autore debba essere davvero intimo con i suoi personaggi, ma ciò che trasparirà nel testo sarà solo la superficie, una pennellata qui, un’allusione là. Altrimenti scrivi un romanzo psicologico e la storia va a farsi benedire. E il lettore si sente tradito. Perché il genere fantastico implica una buona dose di azione.
L’altro problema è stato la costruzione del pianeta e della sua cultura. A differenza di certi colleghi anche importanti (non parliamo poi dei film), grazie all’aiuto di Paolo S. Cavazza*, conosco al millesimo il tempo di rivoluzione e rotazione, la massa, le fasi delle tre lune, i punti lagrangiani (non ho ancora capito che cosa sono), l’inclinazione dell’asse.... Poi ci sono la fauna, la flora e il clima. Mi sono fermata solo di fronte alla geografia perché se no impazzivo, anche se ho avuto la tentazione di farmi una mappa. Ma soprattutto, da antropologa, ho creato una cultura con riti, miti, abitudini culinarie e chi più ne ha più ne metta. Divertente per me, ma di nuovo il lettore deve averne un assaggio, perché il lettore è come un turista che sbarca in un posto nuovo: è investito da colori, sapori, suoni ma non ne capisce granché. E di certo non subisce “spiegoni” degni di Malinowski. Tutto questo materiale quindi va potato per fare emergere la trama. E poi, se svelo tutto subito (la cultura locale in questa storia è essenziale), anche la suspense va a farsi benedire. Insomma, per fare un paragone, bisogna scoprire le carte come un'abile spogliarellista scopre qualcos'altro: lentamente e in modo stuzzicante. Sembra facile!

Nel caso del fantasy, invece, dopo vari tentativi, la trama ha preso forma. In pratica so che cosa accadrà in ogni capitolo. Anche in questo caso, però, stavo per cadere nella sindrome da background ma mi sono fermata in tempo adottando un trucco, suggeritomi da Alberto Costantini**. L’ucronia. Mi spiego. Ho preso un periodo storico e l’ho modificato in chiave fantasy. Usi e costumi, fatti salienti, geografia sono quindi lì, a portata di mano. L’idea l’ho avuta perché in una mailing-list di studiosi delle religioni dell’Asia cui sono iscritta, una scrittrice cercava un dottorando da assumere per darle informazioni sul Deccan del XIII secolo, in modo da ambientarvi un fantasy. Ovviamente, non avendo un soldo bucato, le ricerche non me le fa nessun dottorando prezzolato, quindi ho fatto da me. E, come era da prevedere, nella prima fase, ho rischiato di scivolare nella paranoia, documentandomi persino sui peli del naso del tale personaggio realmente esistito. Probabilmente ciò è il frutto della mia formazione classica. Poi, però, mi sono detta: parti da quel periodo e poi stravolgilo; cambia i nomi, modifica il luoghi, inventati le genealogie. Come mi ha detto un caro amico, Mauro, chi è sgamato si divertirà a trovare gli indizi, ma nessuno potrà dirmi che ho preso una cantonata storica perché i miei personaggi mangiano la polenta prima che Colombo scoprisse l’America.
Tornando alla tecnica compositiva, ho dunque limitato al massimo le parti di background scrivendo i capitoli con l’intento di arricchirli in un secondo tempo di dettagli.

Sinceramente non so quale delle due tecniche sia migliore. A scuola insegnano tutti (me compresa) a fare la scaletta. La scaletta (che corrisponde un po’ alla seconda tecnica, ma in una certa misura, ovviamente, è presente anche nella prima) va bene per non creare disequilibri e per tenere sotto controllo la trama, ma naturalmente limita anche la creatività rischiando di trasformarsi in una gabbia.

E voi? Che ne pensate? Se siete scrittori, come fate? Ogni commento a scopo di confronto è gradito.

* Paolo S. Cavazza è uno scrittore di fantascienza e un grande appassionato di astronomia, aeronautica e fotografia. Ha pubblicato un racconto nell'antologia "Alia Evo 2.0" e presto uscirà il suo romanzo breve "Il fantasma del Mare Imbrium".
** Alberto Costantini è uno scrittore di romanzi storici e fantascienza. Ha vinto due volte il Premio Urania. Impossibile elencare tutte le sue opere perché sono tante e ho paura di perdermi qualche pezzo. ;)