Può l’hard sci-fi essere avvincente?
Sarò sincera, come avrete capito detesto le baggianate
incoerenti, in cui gli autori fanno uscire improbabili conigli dal cappello a
loro piacimento per spiegare fenomeni che in natura non ci saranno mai o per
negare le più elementari leggi della fisica. Non a caso, nel mio romanzo di
fantascienza umoristica, “Cicerone. Memorie di un gatto geneticamente potenziato”,
ho ridicolizzato tutti i luoghi comuni della fantascienza arruffona, primo tra
tutti l’accoppiamento interspecie.
Ma non sono nemmeno una fanatica della fantascienza hard,
ovvero quella in cui la scienza la fa da padrona. Mi piacciono le storie che
ruotano sulle emozioni dei personaggi, pur in un contesto tecnologico. Forse è
un retaggio del mio passato di traduttrice di romance o forse è connaturato
alla natura femminile (anche se sono poco propensa a simili etichette di
genere).
“Il Fantasma del Mare Imbrium” di Paolo Cavazza, però, è un
caso a parte. Sebbene non indulga a sentimentalismi o psicologismi e sia molto
rigoroso (Paolo verifica tutti i suoi dati prima di scriverli), ha la capacità
di metterci in contatto con una delle emozioni più forti dell’uomo: la paura. Il
romanzo, infatti, è apparentemente una storia di fantasmi, con tutto il carico
di suspense e di tensione che questo comporta. Un gruppo di scienziati sulla
base lunare si ritrova infatti a fronteggiare la “ribellione” di alcuni
macchinari che sembrano posseduti e uccidono. E’ così che questi uomini e donne
razionali, abituati ad avere a che fare con la scienza, si confrontano con le
proprie inquietudini, ma, al tempo stesso, cercano una spiegazione plausibile del
fenomeno. Le storie personali sono appena accennate, ma queste poche pennellate
fanno desiderare di approfondire la conoscenza dei personaggi.Cosa che potrete fare leggendo il racconto "Interferenza", all'interno dell'antologia Alia Evo 2.0, e che ritroverete presto nella nuova antologia Alia Evo 3.0, in corso di pubblicazione (nella quale comparirà anche un mio racconto). Per non parlare delle future opere di Paolo, al momento al vaglio delle case editrici. Si tratta, infatti, di una serie di racconti autoconclusivi ma tenuti insieme dai medesimi personaggi e da un sottile filo conduttore.
Quanto alla trama, è ben sostenuta. Il romanzo è breve, ma
non è facile portare avanti un giallo fantascientifico senza che ad un tratto
il lettore si annoi. Invece, “Il fantasma” si legge tutto d’un fiato. Fino alla
rivelazione finale.
Quanto allo stile, è pulito, assolutamente clarkiano, privo
di inutili fronzoli. D’altronde, Paolo lo ha limato e rilimato con precisione
quasi maniacale, a volte lavorando su una frase per giorni. Fino a farlo splendere.
Insomma, un’opera prima che vale la pena di essere letta, in
un panorama dove il chiasso e l’approssimazione la fanno da padroni. Poco
adatto, invece, a chi vuole facili sentimentalismi, colpi di scena da soap
opera, trovate strampalate e personaggi che non sanno dove hanno la testa e
dove i piedi. No, la prosa di Paolo non è nulla di tutto ciò.
Nessun commento:
Posta un commento