E' da un po' che non scrivo, lo so, ma oggi sono spinta da un bisogno impellente. Molto impellente. Una cosa oserei dire viscerale. E quando dico viscerale voglio dire proprio quello. Un'esperienza che t'inchioda, seduto... seduto dove ve lo lascio immaginare.
E' così che nasce "La voce dell'impellenza" o, se preferite, "Le peggio cose" (il titolo è stato suggerito da Paolo S. Cavazza dopo qualche scambio di battute su Messenger).
Che fare quando ti trovi davanti certe boiate? Puoi forse scrivere un post politically correct con un titolo "Fanta-qui" "Fanta-là"?
No.
E' contro natura!
Non puoi tenertela e sorridere.
Ora il post potrà sembrarvi un po' fecale, ma non avete ancora visto niente. Cioè, non avete visto "Lo chiamavano Jeeg Robot".
Ehhhh, roba vecchia, dirà qualcuno. Sì, perché io i soldi del bonus docenti di Renzi non li volevo sprecare per il biglietto per vedere questa cosa e avevo sentito puzza di boiata quando è uscito al cinema. Ma oggi, in questo pomeriggio post elezioni, qualcuno ha citato il film e guarda caso me lo vedo disponibile su Netflix. Così inizio a guardarlo. E che cosa vedo?
Vedo dei romanacci zozzoni in un'ambientazione underground che fa venire la scabbia solo a guardarla. Parlano solo romanesco, perché la produzione ha preso i soldi dall'ente di Sarcavolo della Città di Roma e perché AHO, er cinema italiano è soprattutto romano da Cinecittà in poi.
Così abbiamo i malavitosi puzzoni (è ovvio che sono puzzoni, anche se, grazie a Dio, il cinema non ha ancora raggiunto il grado tecnologico necessario per diffondere le puzze). Peraltro una delle scene clou inquadra una cacca di cane. Per non parlare del cesso sporco del protagonista, che vive in una topaia assurda, ingombra di avanzi di cibo e film porno. Ma su questo torneremo.
Il protagonista, con cui vi sfido a immedesimarvi, è un ladro e sta piazzando la refurtiva dopo essersi fatto un bagnetto in un bidone di rifiuti tossici (secondo la migliore tradizione dei supereroi) che poi ha rivomitato nel suddetto cesso. Un grassone con una figlia bonissima ma pazza come un cavallo lo ingaggia per un lavoretto pulito: recuperare gli ovuli imbottiti di coca defecati da un corriere della droga di colore. Ma la cosa, manco a farlo apposta, finisce in m**** Schizzi di sangue, teste rotte. Diciamo che potremmo intitolare il film "Sangue e cacca", per parafrasare il ben più nobile "Sangue e arena".
Qui il nostro eroe (si fa per dire) scopre che ha acquisito dei superpoteri. E come li usa? Per rapinare un bancomat, ovviamente.
Problema: il cattivo un po' psicopatico (ma chi è il buono in questo film francamente non saprei dirlo), se la piglia con la bonissima matta (che ovviamente è stata abusata da chiunque ha incrociato nella sua giovane vita, primi tra tutti i tizi dell'istituto di igiene mentale che la portavano in gita e poi le facevano girare i porno... il porno ricorre...). Così il nostro Jeeg Robot la salva. E qui, come massimo del romanticismo, vediamo la tetta della tipa che suscita reazioni naturali in un fruitore seriale di hard core.
Che dire? Mi si può biasimare se ho smesso di guardare? Anche se se poi, non vi preoccupate, ci sono tornata, perché, come si suol dire, volevo vedere dove voleva andare a parare. E devo ammettere che alcuni elementi ci sono: il supercattivo che acquisisce a sua volta poteri, lo scontro finale...
Certo che, la scena in cui il grande supereroe stupra la ragazza matta nella cabina di prova del negozio ce la potevano risparmiare, soprattutto in questi tempi di recrudescenza della violenza sulle donne!
Ma non vorrei infarcire il post di spoiler più di quanto non abbia fatto.
Ora passiamo alla critica. Ho fatto una ricerca. Cito alcune recensioni.
"Applausi a scena aperta durante la proiezione stampa, e una certezza: sarà difficile sfilare il Premio del Pubblico della decima Festa di Roma a Lo chiamavano Jeeg Robot. Piuttosto, segnatevi questo nome: Gabriele Mainetti. Classe 1976, una qualche notorietà per il corto Tiger Boy, all’esordio al lungometraggio fa qualcosa di quasi impossibile: un film di supereroi italiano.(...) effetti speciali senza strafare ma molto ben fatti, sceneggiatura che dialettizza il canovaccio fumettistico e supereroistico e i dialoghi indolenti e cafoni a indicazione geografica tipica romana, interpreti in stato di grazia" (da Il cinematografo).
Non ho finito.
"Quello tentato da Gabriele Mainetti è un superhero movie classico, con la struttura, le finalità e l'impianto dei più fulgidi esempi indipendenti statunitensi. Pensato come una "origin story" da fumetto americano degli anni '60, girato come un film d'azione moderno e contaminato da moltissima ironia che non intacca mai la serietà con cui il genere è preso di petto" (da Mymovies).
E che dire di questa chicca presa da niente meno che da Internazionale? "È proprio partendo da una cultura che è fatta di fumetti e di generi, e stando lontano dai colossal hollywoodiani, che Gabriele Mainetti è riuscito, primo nella storia del nostro cinema, a fare un film popolare italiano di supereroi. L’equilibrio tra l’adesione ai canoni del genere e il coinvolgimento del pubblico è ineccepibile...".
E c'è da dire che ha vinto un sacco di David anche se a me sembrano un po' come i premi dell'oratorio, nel segno dell' "io me lo faccio e io me lo vendo". E "chi si loda s'imbroda". Un po' come tutti i premi dove bisogna scegliere tra la pasta scotta, il fritto bruciato e la patata lessa senza sale. I poveri giurati non possono certo fare miracoli!
Ora, cari signori, o io sono una deficiente incapace di cogliere la bellezza di questo capolavoro, o voi siete i soliti intellettuali del cavolo che si rotolano nei loro giudizi come bambini.
Ma se ne sentiva il bisogno? Era necessario che questo Mainetti facesse un film del genere? No, perché a sentire questi critici eravamo tutti qui ad aspettare che comparisse all'orizzonte manco fosse la Madonna di Lourdes.
Ma poi, diciamolo, i film hollywoodiani saranno cavolate, ma almeno uno si diverte. Qui uno si deprime.
Vogliamo fare alcune importanti considerazioni?
PRIMO: Anche il supereroe più underground deve fornire un certo grado di possibile immedesimazione da parte del pubblico che è prevalentemente composto da adolescenti. Con questo tizio si può immedesimare solo un piccolo spacciatore. Il supereroe apre a un mondo di fantasia e possibilità inesplorate, è il riscatto dello sfigato che coi suoi poteri lotta per rendere il mondo migliore in una dimensione epica. Qui di epico che cosa ci trovate?
SECONDO: Non potete spacciarmi Gomorra per un film di supereroi solo perché c'è uno che piega i caloriferi. Non è un film di denuncia e non è neppure fantascienza. Che roba è? Mi risponderete che le contaminazioni tra generi sono fighe, ma non quando mi condite i supplì rifritti con la cacca di cane. Ma è possibile che il cinema italiano debba contaminare sempre tutto con lo squallore, sia esso quello della commedia degli psicotici frustrati o quello ancora peggiore dei malavitosi da Stazione Centrale?
TERZO: Provate per un momento a intrattenere senza atteggiarvi a intellettuali da centro sociale, per favore. Tutta questa storia del film d'autore vi è sfuggita di mano. No, non è così che si conquista il grande pubblico, anche se i recensori marchettari vi fanno tanta pubblicità.
Ma noi abbiamo fatto 5 milioni di euro al botteghino, direte. Vero. Ma le voci contro non sono poche. Il problema è che ci si deve quasi vergognare a dire che una cosa tanto esaltata dai critici è semplicemente brutta. Si passa per cretini, poco competenti e anche poco patriottici. Come se ci si dovesse stringere per forza intorno al "prodotto italiano" anche quando non ci piace.
Non ho difficoltà a criticare prodotti stranieri osannati solo per esterofilia, ma non ho paura di schierarmi contro prodotti italiani solo per campanilismo.
E' così che nasce "La voce dell'impellenza" o, se preferite, "Le peggio cose" (il titolo è stato suggerito da Paolo S. Cavazza dopo qualche scambio di battute su Messenger).
Che fare quando ti trovi davanti certe boiate? Puoi forse scrivere un post politically correct con un titolo "Fanta-qui" "Fanta-là"?
No.
E' contro natura!
Non puoi tenertela e sorridere.
Ora il post potrà sembrarvi un po' fecale, ma non avete ancora visto niente. Cioè, non avete visto "Lo chiamavano Jeeg Robot".
Vedo dei romanacci zozzoni in un'ambientazione underground che fa venire la scabbia solo a guardarla. Parlano solo romanesco, perché la produzione ha preso i soldi dall'ente di Sarcavolo della Città di Roma e perché AHO, er cinema italiano è soprattutto romano da Cinecittà in poi.
Così abbiamo i malavitosi puzzoni (è ovvio che sono puzzoni, anche se, grazie a Dio, il cinema non ha ancora raggiunto il grado tecnologico necessario per diffondere le puzze). Peraltro una delle scene clou inquadra una cacca di cane. Per non parlare del cesso sporco del protagonista, che vive in una topaia assurda, ingombra di avanzi di cibo e film porno. Ma su questo torneremo.
Il protagonista, con cui vi sfido a immedesimarvi, è un ladro e sta piazzando la refurtiva dopo essersi fatto un bagnetto in un bidone di rifiuti tossici (secondo la migliore tradizione dei supereroi) che poi ha rivomitato nel suddetto cesso. Un grassone con una figlia bonissima ma pazza come un cavallo lo ingaggia per un lavoretto pulito: recuperare gli ovuli imbottiti di coca defecati da un corriere della droga di colore. Ma la cosa, manco a farlo apposta, finisce in m**** Schizzi di sangue, teste rotte. Diciamo che potremmo intitolare il film "Sangue e cacca", per parafrasare il ben più nobile "Sangue e arena".
Qui il nostro eroe (si fa per dire) scopre che ha acquisito dei superpoteri. E come li usa? Per rapinare un bancomat, ovviamente.
Problema: il cattivo un po' psicopatico (ma chi è il buono in questo film francamente non saprei dirlo), se la piglia con la bonissima matta (che ovviamente è stata abusata da chiunque ha incrociato nella sua giovane vita, primi tra tutti i tizi dell'istituto di igiene mentale che la portavano in gita e poi le facevano girare i porno... il porno ricorre...). Così il nostro Jeeg Robot la salva. E qui, come massimo del romanticismo, vediamo la tetta della tipa che suscita reazioni naturali in un fruitore seriale di hard core.
Che dire? Mi si può biasimare se ho smesso di guardare? Anche se se poi, non vi preoccupate, ci sono tornata, perché, come si suol dire, volevo vedere dove voleva andare a parare. E devo ammettere che alcuni elementi ci sono: il supercattivo che acquisisce a sua volta poteri, lo scontro finale...
Certo che, la scena in cui il grande supereroe stupra la ragazza matta nella cabina di prova del negozio ce la potevano risparmiare, soprattutto in questi tempi di recrudescenza della violenza sulle donne!
Ma non vorrei infarcire il post di spoiler più di quanto non abbia fatto.
Ora passiamo alla critica. Ho fatto una ricerca. Cito alcune recensioni.
"Applausi a scena aperta durante la proiezione stampa, e una certezza: sarà difficile sfilare il Premio del Pubblico della decima Festa di Roma a Lo chiamavano Jeeg Robot. Piuttosto, segnatevi questo nome: Gabriele Mainetti. Classe 1976, una qualche notorietà per il corto Tiger Boy, all’esordio al lungometraggio fa qualcosa di quasi impossibile: un film di supereroi italiano.(...) effetti speciali senza strafare ma molto ben fatti, sceneggiatura che dialettizza il canovaccio fumettistico e supereroistico e i dialoghi indolenti e cafoni a indicazione geografica tipica romana, interpreti in stato di grazia" (da Il cinematografo).
Non ho finito.
"Quello tentato da Gabriele Mainetti è un superhero movie classico, con la struttura, le finalità e l'impianto dei più fulgidi esempi indipendenti statunitensi. Pensato come una "origin story" da fumetto americano degli anni '60, girato come un film d'azione moderno e contaminato da moltissima ironia che non intacca mai la serietà con cui il genere è preso di petto" (da Mymovies).
E che dire di questa chicca presa da niente meno che da Internazionale? "È proprio partendo da una cultura che è fatta di fumetti e di generi, e stando lontano dai colossal hollywoodiani, che Gabriele Mainetti è riuscito, primo nella storia del nostro cinema, a fare un film popolare italiano di supereroi. L’equilibrio tra l’adesione ai canoni del genere e il coinvolgimento del pubblico è ineccepibile...".
E c'è da dire che ha vinto un sacco di David anche se a me sembrano un po' come i premi dell'oratorio, nel segno dell' "io me lo faccio e io me lo vendo". E "chi si loda s'imbroda". Un po' come tutti i premi dove bisogna scegliere tra la pasta scotta, il fritto bruciato e la patata lessa senza sale. I poveri giurati non possono certo fare miracoli!
Ora, cari signori, o io sono una deficiente incapace di cogliere la bellezza di questo capolavoro, o voi siete i soliti intellettuali del cavolo che si rotolano nei loro giudizi come bambini.
Ma se ne sentiva il bisogno? Era necessario che questo Mainetti facesse un film del genere? No, perché a sentire questi critici eravamo tutti qui ad aspettare che comparisse all'orizzonte manco fosse la Madonna di Lourdes.
Ma poi, diciamolo, i film hollywoodiani saranno cavolate, ma almeno uno si diverte. Qui uno si deprime.
Vogliamo fare alcune importanti considerazioni?
PRIMO: Anche il supereroe più underground deve fornire un certo grado di possibile immedesimazione da parte del pubblico che è prevalentemente composto da adolescenti. Con questo tizio si può immedesimare solo un piccolo spacciatore. Il supereroe apre a un mondo di fantasia e possibilità inesplorate, è il riscatto dello sfigato che coi suoi poteri lotta per rendere il mondo migliore in una dimensione epica. Qui di epico che cosa ci trovate?
SECONDO: Non potete spacciarmi Gomorra per un film di supereroi solo perché c'è uno che piega i caloriferi. Non è un film di denuncia e non è neppure fantascienza. Che roba è? Mi risponderete che le contaminazioni tra generi sono fighe, ma non quando mi condite i supplì rifritti con la cacca di cane. Ma è possibile che il cinema italiano debba contaminare sempre tutto con lo squallore, sia esso quello della commedia degli psicotici frustrati o quello ancora peggiore dei malavitosi da Stazione Centrale?
TERZO: Provate per un momento a intrattenere senza atteggiarvi a intellettuali da centro sociale, per favore. Tutta questa storia del film d'autore vi è sfuggita di mano. No, non è così che si conquista il grande pubblico, anche se i recensori marchettari vi fanno tanta pubblicità.
Ma noi abbiamo fatto 5 milioni di euro al botteghino, direte. Vero. Ma le voci contro non sono poche. Il problema è che ci si deve quasi vergognare a dire che una cosa tanto esaltata dai critici è semplicemente brutta. Si passa per cretini, poco competenti e anche poco patriottici. Come se ci si dovesse stringere per forza intorno al "prodotto italiano" anche quando non ci piace.
Non ho difficoltà a criticare prodotti stranieri osannati solo per esterofilia, ma non ho paura di schierarmi contro prodotti italiani solo per campanilismo.
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